Non minore impegno, richiedeva il lavoro della filatura e di tessitura del lino e della lana eseguito a domicilio dalle donne meanesi. Una vera e propria attività artigianale.
Nel 1943 furono sanciti dal Comune, 260 telai orizzontali che davano una produzione media di 1200 metri di tessuto di lana e una produzione mensile di 800 kg di filati di lana.
 
La lana, dopo il lavaggio, veniva resa soffice attraverso l'operazione denominata ‘de craminari' (cardare), dopo la pettinatura, eseguita con pettini di ferro veniva effettuata la cernita della lana destinata ai tessuti fini di orbace, detta ‘su stamini' sapientemente separata dalla lana ‘coa e pettene' destinata invece alla tessitura di tappeti e coperte ‘is burras' con motivi geometrizzanti e con colori poco appariscenti. La filatura della lana, veniva eseguita fino a pochi anni fa manualmente con l'uso della rocca (sa cannuga) e del fuso (su fusu).
       
 
       

Formate le matasse venivano sottoposte a tintura, con colori ottenuti dagli estratti vegetali e con l'impiego di sostanze minerali anche se poi, il colore fondamentale delle coperte più pregiate,‘ is fanugas' era rigorosamente il bianco candido o grezzo.
La tipica lavorazione a grani (pibiones) veniva eseguiva attorcigliando il filato in una sottile assicella metallica estratta dopo il passaggio del filo.
 
 
 

I grani creati, potevano essere anche tagliati per ottenere l'effetto a fioco, in tal caso, assumeva la denominazione di ‘ fanuga a froccada' mentre, la tipologia del disegno, variava a seconda de ‘sa mostra' cioè il motivo decorativo. La preparazione del telaio e dell'ordito andava attuata in funzione di ciò che si voleva produrre. Il tessuto, collocato entro dei vani rettangolari e intriso d'acqua, veniva sottoposto ad un' energica battitura mediante dei mazzuoli di legno.

La pastorizia e l'agricoltura furono sin dai primi anni del '900 le attività predominanti e, continuano tutt'oggi a caratterizzare l'economia meanese.
I segni materiali più evidenti sono ancora costituiti da ‘is pinnazzus' dimore temporanee strettamente collegate alle funzioni lavorative del pastore.
Più che una casa, sono un ricovero, infatti, il seminomadismo, la notevole distanza dei pascoli dal centro abitato, la necessità di vigilare sul proprio gregge ne caratterizzano la specificità territoriale.
Le tecniche costruttive, e le caratteristiche formali suggeriscono un immediato raffronto con la capanna del villaggio nuragico, evidenziandone una stretta continuità storica-morfologica con l'ambiente. ‘Su pinnazzu', presenta un impianto circolare e tetto ricoperto da grandi ‘scandule' di sughera o stramaglia.
Il basamento murario, in conci schistosi, così simile ad un recinto, si sviluppa in uno spessore medio di cm 80 per circa m. 1.50-1.80 d'altezza, mentre l'orditura di sostegno della copertura, una fitta trama di piccoli tronchi, rami e canne si conchiude a forma di cono. L'altezza complessiva della capanna è di circa m.3.50.
Il focolare è in posizione centrale ed il fumo viene smaltito attraverso il culmine della copertura che spesso presenta un foro di tiraggio.
 

Nello spessore murario si aprono delle nicchie per la brocca dell'acqua ed il recipiente della salamoia. Su di un treppiedi di ferro poggia il caldaio di rame per la confezione del formaggio, le forme, vengono poi messe ad asciugare su di una struttura di legno o di canne (su cannitzu) che pende dal culmine del tetto in corrispondenza del focolare.
Intorno alla capanna, si configura ‘su cuili', lo spazio lavorativo esterno del pastore.
Un sistema di recinti più o meno complesso ne delimita, a seconda del tipo di allevamento (ovino e caprino) le funzioni specializzate.
Si individua così l'area per la mungitura, (sa colte) per lo svezzamento del capretti (s'aili), per il riposo estivo del gregge (su meriagu) e per quello invernale (su passiali).
Il passaggio rurale, si trasforma poi nell'ottocento con l'applicazione della legge sulle chiudende, si erigono infatti, in sostituzione al solco non seminato e alla siepi, innumerevoli muretti a secco che delimitano le proprietà private che, seguendo andamenti innaturali sviluppano tracciati aspri e tortuosi che disegnano sul terreno forme geometriche irregolari.

           
   
   
Sin dai tempi dei romani, erano queste le attività che avevano portato ricchezza e popolarità al paese.

Oggi, solo la viticoltura, continua a caratterizzare l'economia di Meana, infatti, insieme a quella di Atzara e Sorgono, riuscirono a fondare agli inizi degli anni '60, la Cantina Sociale del Mandrolisai dove, il prodotto, viene attualmente trasformato, conservato e collocato sul mercato.
Della produzione olearia, seppur nel censimento degli anni '80 risultava una superficie ad ulivo pari a 61 ettari, oggi, l'unica cosa che persiste, sono i frantoi, presenti in diverse abitazioni private.