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I tre elementi superstiti del Retablo di Tonara, raffiguranti la Crocifissione (cm193x90), il Giudizio Universale (cm.135x78) e S. Michele Arcangelo (cm.135x81), costituiscono quanto rimane di una pala d'altare della metà del Cinquecento di cui si hanno scarse notizie. |
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Il rinvenimento delle tre tavole dipinte su legno di castagno è stato pressoché casuale in quanto, risultavano essere state abbandonate nella soffitta di una casa di Tonara, appartenuta nell'Ottocento ad un parroco del medesimo paese. Questi, dopo la distruzione della Chiesa di Santa Anastasia del secolo XVI, sita al limite dell'abitato, alla quale le predette appartenevano, le conservò nella soffitta della casa insieme a parti riguardanti un'antica cassapanca; lasciando invece nel piano terra una pietra squadrata, sempre della citata Chiesa, nella quale era possibile scorgere lo stemma aragonese e la data 1565. Si precisa che, sebbene le due ultime cifre della data siano lievemente abrase, la medesima è ritenuta dalla tradizione orale risalente alla consacrazione della Chiesa stessa avvenuta in quel periodo. |
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Solo recentemente, per lavori di risanamento predisposti dagli eredi dell'immobile, comprendenti anche riparazioni alle coperture, si è potuto riscontrare l'esistenza delle tavole dipinte, oltre a quelle di una cassapanca. Le tavole del "retablo" si sono presentate, dopo un secolo, ricoperte di sporco e di ossidazioni al punto da non rivelare subito l'esistenza di brani figurativi di qualche interesse artistico. Tutto il gruppo è stato quindi dato a un artigiano specialista in cassapanche il quale, notata l'estraneità delle tre tavole in argomento dal tipo di arredi di cui si occupava generalmente, ne ha segnalato l'esistenza a chi poteva occuparsi della loro vendita. La segnalazione è così giunta al Sig. Dante Crobu di professione antiquario, il quale a sua volta segnala le tavole ad un suo cliente, il Sign. Giuseppe Mario Trogu, abitante di San Francisco da diversi decenni. Questi trovandosi all'estero incaricò lo stesso Crobu di risanare i dipinti e di curarne la successiva vendita. |
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La Chiesa nella quale il retablo era stato disposto, aveva dimensioni modeste del tipo degli edifici religiosi campestri; la pala doveva essere posta nell'altare maggiore e avere dimensioni non trascurabili poichè le tre tavole superstiti possiedono una lunghezza di oltre un metro ciascuna. Non si è assolutamente in grado di stabilire quante fossero nel complesso le altre tavole, ne se ci fosse una predella e al centro, o una tavola |
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maggiore, dedicata alla Vergine, o a S. Anastasia, titolare della Chiesa, o una nicchia per il simulacro ligneo della Madonna, come risulta in molte opere del secolo XVI. Non avendo rintracciato alcun elemento di cornice e di polvarolo si è assolutamente nell'impossibilità di stabilire poi qualcosa in tal senso. |
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Le tre tavole superstiti sono di grande interesse non tanto per l'intrinseca qualità pittorica, quanto per il singolare accostamento di citazioni dalle opere di un consistente numero di artisti isolani non solo di ambito stampacino. Da una maniera prevalentemente popolareggiante, spesso vernacolare, emergono taluni spunti che rivelano una sorprendente, vastissima conoscenza della realtà artistica isolana della fine del XV e del XVI secolo. |
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La presenza della Crocifissione è molto frequente nei retabli sardi del Cinquecento, posta per lo più nella parte apicale della pala d'altare stessa e la figura del Cristo tra i due ladroni rimanda alla scuola dei Cavaro, i quali sin dagli inizi del medesimo secolo introdussero questa tipologia desunta dal Crocifisso gotico doloroso di Oristano, meglio conosciuto come il 'Nicodemo'. La figura del Cristo crocifisso è quella che maggiormente si rapporta a quella di Pietro Cavaro nel 'Retablo di Villamar' per l'inclinazione della testa, per il modello di perizoma e del modo di fasciare i lombi, per la sovrapposizione dei piedi e per talune notazioni anatomiche del busto. |
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La postura dei due ladroni non è propriamente quella riscontrabile in Pietro Cavaro ma riconducibile all'impostazione analoga di Antioco Mainas; la produzione del quale è databile tra il 1537 e il 1571. In particolare i richiami riguardano i contorcimenti dei corpi dei ladroni, percorsi dalle strazianti contrazioni muscolari, dovute al supplizio della crocifissione, e le sciabolate alte sulle cosce dalle quali fuoriescono guizzi di sangue: richiami, si ribadisce, prossimi alla crocifissione in esame. Si vuole inoltre segnalare forse, da parte dell'autore, la conoscenza anche della pittura germanica del Quattrocento, come ad esempio la scena della Crocifissione del trittico della Passione di Colonia, opera del 1460 del Maestro della Vita di Maria, ove figura anche la Maddalena mente abbraccia la Croce. |
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Ai piedi dell'immagine di un Cristo decisamente sproporzionato, ma giustificato dall'intenzione di evidenziare il divario di una grandezza divina, sono Maria, Giovanni e la Maddalena, le cui posture e il ripiegamento dei manti sono determinanti, così come, il particolare del fazzoletto stretto fra le mani di quest'ultima ai piedi della Croce. |
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Nello sfondo, in prossimità di una Gerusalemme con torri a pianta circolare, sono ritagliati due originali e interessantissimi piccoli riquadri contigui. Nel primo a sinistra, un chiaro riferimento all' episodio evangelico sui preparativi di quella Pasqua che, con il tradimento di Giuda, segnerà l'inizio di quella Passione che nella stessa Crocifissione del Cristo, raggiungerà il suo apice, sono raffigurati gli apostoli Pietro e Giovanni (uno dei quali a dorso di un asino), che incontrano davanti alle mura della città un personaggio con un otre sotto il braccio. Nel secondo, come illuminato da un improbabile segui persona teatrale che, staccandolo dallo sfondo, dà voce al brano pittorico, alcuni soldati recanti uno stendardo e delle lance, sorvegliano l'esile figuretta di un Cristo in stato di arresto, con le braccia legate dietro la schiene, secondo il racconto dell'evangelista Giovanni. |
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Nell'artefice della tavola di Tonara si notano soprattutto gli scorci delle mani e dei piedi, in particolare la loro deformazione che rende le estremità di entrambi accentuate, quasi fossero una cifra stilistica propria dell'autore, un segno di riconoscimento posto a differenziarlo da coloro che l'avevano preceduto in simile definizione linguistica. |
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Nella seconda tavola, ammiriamo il gesto dello stesso Principe degli angeli , che con un solo strumento, pesa le anime e trafigge quanto resta del corpo frantumato di un maligno vittima, ancor prima che di una originale lancia bilancia, di un malinteso sentimento religioso. |
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Soggetto assai raro nella pittura sarda, il Giudizio Universale, terza ed ultima tavola superstite. |
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La scena è caratterizzata da un imponente edicola il forme classicheggianti animata da una moltitudine di personaggi ma, la lacunosità della crosta pittorica non ne permette una chiara lettura. Tra di essi, al centro del tempietto è parte della figura di un angelo, forse identificabile, per il rilievo accordatogli, col San Michele, l'altro arcangelo che con il San Gabriele, cui dal 1607 è intitolata la nuova parrocchiale, divide a Tonara e più in generale nelle Barbagie, una devozione antichissima e profonda. Al di sopra di questo, il Risorto si libra alto su alcuni santi, tra i quali, pare di distinguere la Santissima Vergine e San Pietro, e su di un certo numero di angeli, alcuni dei quali di profilo, che mostrano una chiara difficoltà del pittore nel rappresentare fisionomie scorciate. |
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Nell'inclinazione della figura, nei pettorali quadrati e nelle pieghe parallele, serrate e fortemente marcate del lenzuolo che gli cinge gli arti inferiori, l'immagine del Salvatore deriva, ancora una volta, dal retablo di Sant'Anna di Sanluri. |
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Alla sua destra, sono le anime nobili e beate dei redenti, alla sua sinistra, quelle deformi e sgraziate dei dannati. Tra queste ultime è un irsuto personaggio che, nella mostruosità delle anche convergenti in un solo arto, soffre, tra le fiamme, le pene di un misterioso contrappasso; mentre nella parte centrale e inferiore della tavola alcuni risorti vanno incontro al loro destino, presi in consegna chi da un angelo, chi da un demone alato, sinistramente itifallico. La forte incisività della linea che si rileva in taluni tratti conferma, qualora ve ne fosse ancora bisogno, la maniera di un maestro sardo in questa importantissima opera, che a tutti gli effetti segna il luogo d'incontro e di compenetrazione tra le scuole più rappresentative del manierismo isolano. |
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Il linguaggio della tavola di Tonara possiede comunque un accento popolareggiante che lascia intendere la presenza di qualche aiuto, senza esclude ritocchi apportati nel tempo, forse anche nel Settecento, là dove vi potevano essere cadute di colore o altri guasti determinati da un ambiente non perfettamente idoneo ad una buona conservazione. |
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